INA Casa: case e lavoro per i meno abbienti nel dopoguerra

Ci passiamo davanti ogni giorno, dai più considerate di bassa qualità, le cosiddette Case INA rappresentano uno degli strumenti che permisero al nostro Paese di rimettersi in piedi dopo la guerra: può essere un'idea per superare la crisi economica prodotta dal coronavirus. 

Per INA-Casa si intende il piano di intervento dello Stato per l'edilizia residenziale pubblica su tutto il territorio italiano: ideato nell'immediato secondo dopoguerra, aveva a disposizione i fondi gestiti da un'apposita organizzazione presso l'Istituto Nazionale delle Assicurazioni (INA), la cosiddetta Gestione INA-Casa.

Il piano fu istituito con la legge 28 febbraio 1949, n.43 (“Provvedimenti per incrementare l'occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori”): inizialmente prevedeva una durata settennale ma venne poi prorogato di ulteriori sette anni, sino al 1963. Grande promotore dell'iniziativa fu l'allora ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale Amintore Fanfani, tanto che, il piano è noto anche come "Piano Fanfani".

L'intervento gestito dall'INA-Casa voleva favorire, oltre al rilancio dell'attività edilizia, anche l'assorbimento di un considerevole numero di disoccupati e la costruzione di alloggi per le famiglie a basso reddito, secondo le teorie economiche di Keynes.

La progettazione venne affidata ai migliori architetti dell'epoca: Irenio Diotallevi, Mario Ridolfi, Michele Valori, Giorgio Raineri, Roberto Gabetti, Carlo Aymonino, Franco Albini, lo studio BBPR, Castiglioni, Ignazio Gardella, Luigi Carlo Daneri, Figini e Pollini, Ettore Sottsass, Italo Insolera ed Enea Manfredini. Vennero coinvolti anche innumerevoli professionisti, architetti, urbanisti, ingegneri, geometri, che parteciparono alla realizzazione dei molti quartieri popolari, con i più svariati nomi, disseminati in tutto il territorio nazionale, dalle grandi città ai piccoli paesi (p.e. a Lecce, tra le attuali via C. Battisti e Imp. Adriano)

Il Piano seguiva precise direttive. Anzitutto si ispirava alla tendenza architettonica allora prevalente in Italia, quella del Neorealismo, basata su uno stretto legame con la tradizione. In secondo luogo, proprio per garantire il ritorno occupazionale, era previsto l'utilizzo nelle varie fasi realizzative di imprese locali e piccoli imprenditori.

Una singolare caratteristica del progetto fu quella di far apporre, su tutti gli edifici realizzati, una targa in ceramica policroma (alcune delle quali realizzate da grandi artisti quali Alberto Burri, Duilio Cambellotti, Leoncillo Leonardi, Tommaso Cascella, Pietro De Laurentiis, Piero Dorazio) che alludesse al tema del progetto o, più in generale, al tema della casa come luogo felice. L'applicazione delle targhe sugli immobili, per le quali erano stabilite le misure, la posizione e i prezzi massimi, era una delle condizioni per il rilascio del certificato di collaudo. 

Il ritmo di costruzione, reso possibile dalla struttura organizzativa Ina-Casa, sarà estremamente efficiente e, con l'entrata a regime, produrrà circa 2.800 unità abitative a settimana, con la consegna, sempre settimanale, di circa 550 alloggi alle famiglie assegnatarie. Alla fine dei quattordici anni di durata del piano, i vani realizzati saranno in totale circa 2.000.000, per un complesso di 355.000 alloggi. Il Piano Ina-Casa alla sua scadenza avrà aperto 20.000 cantieri che porteranno, come era negli intenti dei legislatori, ad impiegare molta manodopera stabile: circa 41.000 lavoratori edili all'anno, costituenti un impiego pari al 10% delle giornate-operaio dell'epoca.



Viale Leopardi, 170 - 73100 Lecce

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