Il condominio può vietare l'esercizio di attività di affittacamere nei propri appartamenti?

E' possibile svolgere attività di affittacamere in condominio se il regolamento vieta le attività alberghiere?

La risposta arriva dal Tribunale di Milano (sentenza n.1947/2018), in merito al ricorso presentato da un condominio che chiedeva la cessazione dell'attività di locazione svolta dai due proprietari di un appartamento.

In particolare, il condomino chiamato in giudizio aveva ceduto in locazione il proprio appartamento ad una società che, a sua volta, aveva suddiviso l'immobile in diverse stanze, poi sublocate a terzi.
Anzitutto, il proprietario contestava la propria legittimazione passiva nella causa, in quanto l'immobile era stato locato alla società. Ma il giudice si opponeva, richiamando il principio per cui il proprietario è sempre responsabile quando il suo locatario viola il regolamento condominiale: spetta a lui, prima di tutto, pretendere dal conduttore la cessazione delle condotte lesive, a meno che non dimostri di aver adottato, in relazione alle circostanze, le misure idonee, secondo il criterio generale di diligenza (art.1176 C.C.)

Entrando nel merito della causa, la corte accertava poi che il regolamento condominiale era di tipo contrattuale e vietava "di tenere locande o pensioni" e "l'esercizio di industrie e altre attività imprenditoriali" negli alloggi dello stabile.
Il condominio invece sosteneva che le parti citate in giudizio avevano illegittimamente trasformato l'appartamento in attività imprenditoriale di affittacamere, violando il regolamento condominiale. Ma il giudice rigettava tale interpretazione, basandosi sulla distinzione tra affittacamere (ed attività alberghiera) ed ordinaria locazione di alloggi.

Infatti, l'attività di affittacamere presuppone la prestazione di servizi personali, quali riassetto delle stanze e fornitura di biancheria (assenti nella locazione ordinara) per un periodo di tempo limitato (maggiore nella locazione ordinaria). 
Nel caso in oggetto, le stanze erano state arredate, senza alcun servizio aggiuntivo di pulizia e cambio biancheria, e tutti i contratti erano stati sottoscritti dagli occupanti per un periodo di quattro anni.

Secondo il giudici, il rapporto tra locatore ed occupante non era quello, temporaneo e transitorio, di affittacamere, ma piuttosto si trattava di una serie di contratti di sublocazione a carattere stabile e senza servizi personali aggiuntivi: in presenza di tali caratteristiche, la forma contrattuale non poteva che essere quella della locazione ordinaria.
Nel condominio in questione, secondo il regolamento contrattuale vigente, l'attività svolta non era vietata, in quanto il divieto era diretto solo ad attività di pensioni o locande che, per definizione, prevedono durata breve e servizi aggiuntivi, quali cambio biancheria e/o servizio di vitto, chiaramente escluso nel caso considerato.

Secondo la corte, l'interpretazione del regolamento deve essere di tipo restrittivo, e non estensivo: cioè, tutto ciò che non è espressamente vietato deve considerarsi consentito. Perciò, "le restrizioni alle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio di natura contrattuale devono essere formulate in modo espresso o comunque non equivoco, in modo da non lasciare alcun margine di incertezza sul contenuto e la portata delle relative disposizioni". 

Nessuna regola era stata violata, in quanto l'attività svolta non rientrava né in quelle di locanda o pensione, né in quella imprenditoriale, dato che questa era svolta dalla società che gestiva gli affitti dai propri uffici, mentre le stanze ubicate nel condominio erano utilizzate per civile abitazione. Per quanto sopra, il giudice rigettava la domanda del condominio.

Possiamo quindi concludere che l'attività alberghiera è diversa da quella di affittacamere (per il tempo di permanenza degli ospiti e servizi offerti) perciò, anche se il regolamento condominiale vieta di svolgere la prima, il proprietario potrà comunque intraprendere la seconda.


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